12 Gennaio 2006 |
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Introduzione
In questo articolo vediamo un confronto fra gli inchiostri a pigmenti della Epson da poco introdotti sul mercato (UltraChrome K3), i "vecchi" UltraChrome dedicati alle stampanti serie 2100/4000 e gli inchiostri dye-based della Canon ChromaPlus delle stampanti a 8 cartucce.
Il test prende in considerazione i vari aspetti della stampa: gamut, metamerismo, risoluzione, effetto gloss, bronzing, stampa in bianco e nero e resistenza allo sbiadimento nel tempo.
Non verrà presa in considerazione volutamente la fedeltà dei colori, in quanto non è un parametro intrinseco di una stampante, ma dipende da come viene pilotata: in generale si può dire che si avrà una corrispondenza di colore tanto migliore quanto più accurato sarà il profilo che la caratterizza.
Per il test ho utilizzato i drivers originali (salvo dove specificato) e ho creato dei profili ICC utilizzando uno spettrofotometro Gretag Eye-One, con il target i1 RGB 1.5.tif a 288 patches, che è un target distribuito insieme al software di gestione dello spettrofotometro (Eye-One Match 3).
Ho voluto anche fare un confronto con stampe chimiche sia a colori che in bianco e nero. Quelle a colori sono stampe provenienti da un minilab della Kodak su carta Kodak Ultra Endura Paper Glossy , mentre per il bianco e nero ho utilizzato stampe fatte su carta Ilford Multigrade IV Glossy.
I famosi UltraChrome della Epson sono costituiti dai classici colori dell'esacromia (CMYcmK) più un grigio chiaro, i nuovi K3 hanno aggiunto un ulteriore grigio "chiaro chiaro", mentre i ChromaPlus della Canon oltre all'esacromia classica hanno in più un rosso ed un verde, in modo da estendere il gamut verso questi due colori. La stampa chimica invece prevede i soli tre stati Ciano, Magenta e Giallo.
Vediamo il confronto
L* = 25
L* = 50
L* = 75
Come prima cosa notiamo come la tecnologia chimica (stampa cromogenica) sia in grado di produrre colori decisamente meno saturi rispetto alla tecnologia ink-jet. I nuovi K3 hanno realmente migliorato la performance rispetto ai vecchi UltraChrome, soprattutto nelle tinte medie e chiare. Un aiuto lo ha sicuramente dato il grigio più chiaro, ma anche i singoli inchiostri (CMY) sono stati migliorati consentendo colori più saturi. I ChromaPlus perdono il confronto con gli Epson nelle sfumature scure, si equivalgono nelle tinte medie e vincono in quelle più chiare. Occorre osservare, comunque, che l'occhio è più critico a variazioni di saturazione per valori di L* medio-alti, per cui confrontando stampe con colori al limite del gamut, provenienti dalla Epson 2100 e dalla Canon Pixma 8500, queste ultime hanno colori visibilmente più vibranti. I nuovi K3, comunque, hanno riaccorciato decisamente le distanze, superando talvolta le prestazioni dei ChromaPlus.
Per quanto riguarda il profilo della stampa chimica devo fare una precisazione. L'interfaccia di utilizzo dei minilab (un SoftWare Kodak), basata su di un PC server IBM Dual Processor (Pentium III) con Windows 2000 Server come sistema operativo, non permette di gestire il colore tramite profili ICC. Permette di disabilitare gli automatismi di correzione del colore, ma non consente di stampare correttamente immagini con profilo diverso da sRGB. Cioè, un'eventuale profilo incorporato viene ignorato, e viene fatta una conversione fissa da sRGB verso il profilo della stampante. Questo non si evince direttamente dall'interfaccia grafica del sistema, ma è stato affermato da un tecnico della Kodak in occasione di un intervento di manutenzione. Vero o non vero, ho aggirato il problema semplicemente facendomi stampare il target e creandomi un profilo. Se la macchina rimane stabile (per calibrarsi utilizza un sistema automatico di stampa e scansione collegato via modem ad un centro Kodak, ma la stabilità è il vero punto dolente perchè la calibrazione dovrebbe essere fatta a cadenza giornaliera) e se gli automatismi vengono disabilitati secondo la mia richiesta, posso riutilizzare questo profilo per future stampe. Per farlo ho due possibilità: o lavoro sulle immagini attivando l'anteprima di stampa con il profilo creato, spuntando "Preserve RGB Numbers".
Questo equivale ad assegnare il profilo di stampa all'immagine senza incorporarlo nel file (serve solo per la visualizzazione a monitor). Oppure (soluzione migliore) posso semplicemente convertire le immagini che devo stampare, dal profilo originario a quello di stampa che ho creato, prima di consegnarle al minilab. Incorporare o no il profilo non fa differenza, visto che viene ignorato, per cui è meglio non incorporarlo per non appesantire i files.
Se avete delle stampe provenienti da un minilab Kodak, potete scaricare questo profilo per provare se è applicabile, almeno "a vista", anche al vostro service di stampa, seguendo uno dei due metodi appena descritti.
Ricordo che è relativo a un minilab Kodak (la macchina è una Noritsu Kodak qss-2711 ) e la carta è la Kodak Ultra Endura Paper Glossy .
Il fenomeno del metamerismo si presenta quando due stimoli di diversa composizione spettrale danno luogo ad eguaglianza percettiva. Cioè, supponiamo di dividere uno schermo in due parti contigue e di illuminarne una con una radiazione e l'altra con una radiazione di diversa composizione spettrale. In generale i colori delle due parti dello schermo risulteranno diversi, ma può capitare che radiazioni fisicamente diverse producano sensazioni di colori identici. In questo caso i due stimoli vengono detti metamerici. Per esempio il giallo della radiazione di 580 nm è metamerico a quello di una miscela di 540 e 620 nm, con opportune intensità relative. Con il diffondersi di stampanti fotografiche ink-jet, si è cominciato a parlare di metamerismo per indicare in realtà il fenomeno opposto. È possibile, ad esempio, che due stampe a colori con curve di riflettanza spettrale diverse appaiano simili alla luce di un illuminante e risultino diverse al cambiamento della sorgente di luce. Da dove nasce questo fenomeno? Come si sa, gli oggetti ci appaiono colorati perchè assorbono e riflettono la luce in modo selettivo nelle varie frequenze dello spettro. Consideriamo per esempio due oggetti che riflettono la luce rossa in modo simile, ma mentre uno riflette anche la luce blu, l'altro la assorbe. Se illuminiamo i due oggetti con luce rossastra, come può essere la luce di una lampadina al tungsteno, i due oggetti ci appariranno più o meno dello stesso rosso, in quanto la luce blu riflessa sarà in quantità minima in entrambi i casi, visto che la sorgente stessa è povera di queste radiazioni. Se ci spostiamo all'aperto, in una giornata nuvolosa, la cui luce contiene molte più radiazioni blu rispetto alla quella della lampadina, i due oggetti non ci appariranno più dello stesso colore, ma ci sembreranno uno rosso ed uno magenta.
In particolare, quello che salta all'occhio in modo evidente sono quelle zone della stampa che in una condizione di illuminazione appaiono neutre, mentre in un'altra appaiono affette da dominanti di colore. Per indicare questo fenomeno si parla in genere di metamerismo, mentre sarebbe più corretto parlare di "errato bilanciamento del grigio" o Gray Balance Failure, come dicono gli americani.
La prima volta che ho conosciuto questo fenomeno, risale al giorno stesso in cui ho acquistato la mia stampante Epson 2100. Veniva corredata di un software chiamato "Grey Balancer", che serviva a calibrare ad occhio la stampante, con l'intento di ottenere stampe in bianco e nero di tonalità neutra. Ho passato parecchie ore della notte, consumando il primo pacco di costosa carta fotografica, per cercare di compensare una maledetta dominante magenta, lavorando alla luce di una lampada fluorescente calda. Quando finalmente sono riuscito ad ottenere risultati accettabili, non ottimi, sono andato a dormire chiedendomi come mai la mia nuova stampante nascesse così scalibrata. La mia vecchia 870 non mi aveva mai dato problemi così visibili. La mattina seguente, alla luce della finestra, ho notato subito con mio stupore una forte dominante verdastra, che sicuramente la notte precedente non era presente. Però, tornando sotto alla luce del neon le stampe riacquistavano miracolosamente la loro neutralità. Se avessi avuto allora il mio spettrofotometro, avrei risparmiato la carta e la nottata di lavoro, in quanto avrei potuto prevedere con precisione questo fenomeno. Infatti misurando alcune patches grigie della prima stampa, quella senza Grey Balancer, e misurando le due fonti di illuminazione, avrei subito scoperto questo:
Lampada al neon / Luce finestra
Nella parte sinistra delle patches si può vedere chiaramente la dominante magenta, che dunque non mi ero sognato. Sono stato, comunque, un po' sfortunato, perchè la particolare luce della mia lampada mette in evidenza in modo anche troppo chiaro questo fenomeno. Ma perchè la 2100 soffre così tanto di questo difetto? Proviamo ad indagare. La prima cosa da fare è misurare i dati spettrali dei singoli inchiostri, senza mescolarli. Per farlo serve un RIP che sia in grado di stampare sette quadratini colorati usando ciascun inchiostro singolarmente (i drivers Epson non lo permettono, in quanto pilotano la stampante in RGB). Nei campi "Illuminazione", d'ora in poi imposterò degli illuminanti, in modo da rendere ripetibili e confrontabili i risultati.
Inchiostri UltraChrome (Epson 2100)
Come si vede gli inchiostri che più risentono del problema sono quelli ciano e magenta. Il giallo, i neri ed il bianco della carta sono invece molto più stabili.
Come ho detto prima, questo difetto in stampa si nota soprattutto nelle zone che dovrebbero essere neutre, e meno nelle zone colorate. Avendo a disposizione quattro o più inchiostri, per fare le varie gradazioni del grigio sono possibili tante combinazioni diverse. Per esempio è possibile utilizzare solo gli inchiostri colorati per fare i grigi chiari, evitando di far intervenire il nero il cui punto di stampa potrebbe diventare visibile, cominciando ad utilizzarlo solo a partire da grigi medio-scuri, via via sempre di più. Sotto è mostrata un'impostazione classica per l'asse del grigio nella creazione di un profilo CMYK.
Ovvero, dal bianco fino al grigio al 40% vengono fatti intervenire solo gli inchiostri colorati, poi comincia ad essere utilizzato anche l'inchiostro nero, fino ad arrivare ad una copertura del 400% nel nero massimo stampabile (cioè dove tutti gli inchiostri sparano al 100% ). I driver Epson utilizzano un' impostazione simile, o forse anche con meno inchiostro nero, ma gli inchiostri colorati giocano un brutto scherzo, in quanto il difetto si presenta così:
Epson 2100 - Carta Epson Premium Glossy - Driver Epson
Va un po' meglio rispetto alla luce fluorescente di prima, però è un risultato molto poco gradevole. Visto che l'inchiostro nero è molto stabile rispetto alle varie fonti di illuminazione e visto che nella 2100 è presente anche un nero chiaro, che rende meno visibile il punto di stampa nelle sfumature chiare, sarebbe più conveniente utilizzare un nero iniziale più basso, ma soprattutto una percentuale di inchiostro nero maggiore rispetto a quella degli inchiostri colorati. Scegliendo per esempio una preimpostazione per le stampanti laser, come qui sotto
i risultati migliorano notevolmante:
Epson 2100 - Carta Epson Premium Glossy - Rip Profilo CMYK MaxK
Leggendo le statistiche a fianco, sembra che non ci sia stato un gran miglioramento, ma guardando le patches, si può notare come il difetto in realtà sia stato spostato nelle sfumature scure, e quindi sia molto meno visibile.
Osservazione: questo difetto non è migliorabile in assoluto creando un profilo ICC in RGB (utilizzando i drivers Epson), in quanto un profilo RGB non può cambiare "la ricetta" del grigio, che è cristallizzata nel driver, ma può solamente prendere atto delle corrispondenze RGB --> Lab. Però è possibile decidere per quale illuminazione creare il profilo: per esempio, sapendo che le stampe dovranno essere esposte in un ambiente illuminato al tungsteno, si può misurare quella luce con uno spettrofotometro e creare il profilo tenendo conto dei dati spettrali della sorgente luminosa. I grigi, sotto questa luce, risulteranno effettivamente neutri, però, spostando le stampe sotto un'altra fonte di luce, le dominanti usciranno di nuovo.
Alcuni famosi RIP, anche molto costosi come Image Print, pubblicizzavano i loro prodotti sottolineando come avessero corretto egregiamente questo difetto. Beh, bastava un Rip qualunque, anche economico, che gestisse la stampante in CMYK e un profilo ICC CMYK fatto bene. Image print è diventato famoso anche perchè è in grado di produrre stampe in B/N di tonalità molto stabile alle varie sorgenti di illuminazione, in quanto per questo tipo di stampe utilizza pressochè solo i due inchiostri neri, che però risultano di una tonalità calda e non neutra. Per neutralizzarla intervengono anche gli inchiostri colorati, ma nella quantità minima possibile, in modo da non perdere la stabilità . Lo stesso concetto è adottato anche dall'ottimo QuadToneRIP, che al contrario è decisamente più economico:
Epson 2100 - Carta Epson Premium Glossy - Quad Tone Rip (Foto B/N)
La stabilità è ottima. Nella nuova serie di stampanti, la Epson ha imparato la lezione, e oltre ad aver aggiunto un grigio in più, ha reso disponibile direttamente nei suoi drivers la modalità B/N, producendo risultati di altissima qualità:
Epson 4800 - Carta Epson Premium Glossy - Driver Epson (Foto B/N)
Per confronto ho voluto misurare anche una stampa chimica, su di una carta molto utilizzata in passato per stampare in B/N.
Stampa Chimica B/N - Ilford Multigrade IV RC DE LUXE - Glossy Medium weight - Politenata (MGDIV.1M)
In questo caso il difetto è praticamente assente, ma ci da un' idea della bontà dei due risultati precedenti.
La Epson ha corretto perfettamente i suoi drivers anche nella stampa a colori, che sfrutta pienamente il terzo inchiostro grigio portando dunque benefici non solo nella stampa in B/N:
Epson 4800 - Carta Epson Premium Glossy - Driver Epson (Foto a Colori)
La serie Canon non ha inchiostri neri a diverse densità, per cui, per fare l'asse del grigio deve per forza utilizzare gli inchiostri colorati in quantità maggiore rispetto alla Epson, però risultano piuttosto stabili, in quanto il difetto si mantiene a livelli accettabili.
Canon Pixma ip8500 - Carta Canon Glossy PR101 - Driver Canon
Anche la stampa chimica a colori non è esente da questo difetto, che comunque non si potrebbe modulare non essendoci lo "strato nero", anche se i valori sono decisamente bassi.
Kodak Minilab - Carta Kodak Ultra Endura Paper Glossy
Potete scaricare qui la testchart ed il file di riferimento utilizzati per queste misure, se volete testare la vostra stampante.
Nota: abbiamo visto come sia possibile ridurre questo difetto nei grigi. Invece le tonalità dei colori non si possono rendere stabili al variare delle sorgenti di luce. Per esempio un magenta ci apparirà sempre più magenta alla luce fredda di una giornata nuvolosa che non sotto ad una lampadina al tungsteno. Quindi ha senso creare un profilo ICC per una specifica illuminazione anche se il profilo è CMYK. Le stampe così ottenute avranno sicuramente i grigi neutri (con una "ricetta" del grigio corretta) e in più i anche colori saranno visualizzati correttamente. Cambiando fonte di luce vedremo i grigi ancora neutri, ma i colori appariranno di un'altra tonalità.
Cerchiamo ora di capire meglio come nasce questo fenomeno osservando i dati spettrali degli inchiostri della 2100, ottenuti misurando quattro patches. Per quelle CMY sono stati utilizzati gli inchiostri scuri, con un valore di stampa del 100%, per il nero è stato utilizzato sempre l'inchiostro scuro, ma è stato stampato con un valore più basso, per rendere meglio visibile l'andamento della curva :
Innanzi tutto notiamo come il nero non sia effettivamente neutro, in quanto la sua pendenza non è piatta, ma cresce verso la zona rossa, determinando la classica tonalità calda dei pigmenti di carbone. Vediamo ora l'andamento spettrale di un grigio di riflettanza spettrale relativa media di circa 14%, in quattro casi diversi:
La curva della stampa chimica è piatta, confermandoci l'ottimo comportamento già notato prima. La 2100 con i drivers originali dà origine ad una forte variazione di riflettanza nell'intervallo 480-600 nm, ed è questa la causa maggiore delle dominanti che nascono. Il controllo degli inchiostri colorati per realizzare un grigio neutro risulta evidentemente difficoltoso. La soluzione più semplice è quella di usare più inchiostro nero, infatti come si vede nel caso estremo del QuadToneRip, la curva è molto più piatta (faccio notare, a costo di diventare ripetitivo, che queste ultime due curve considerate, sono relative alla stessa stampante, con gli stessi inchiostri e con la stessa carta: cambia solo la ricetta del grigio). Nota: le curve canned di QuadToneRip usano solo il ciano e il magenta chiari per raffreddare il tono del nero, infatti si vede nell'intorno dei 570nm una piccola conca (a questa lunghezza d'onda sia il ciano che il magenta hanno riflettanza quasi nulla).
I drivers della 4800 hanno migliorato moltissimo la resa, come avevamo già potuto constatare prima. Risultato ottenuto sicuramente utilizzando di più il nero ed i grigi, ma forse anche grazie alla nuova formulazione degli inchiostri colorati.
Entriamo di più nel merito del fenomeno.
Definizioni:
Ad una radiazione a spettro continuo che contenga tutte le componenti di diversa lunghezza d'onda con uguale intensità (sorgente equienergetica) corrisponde una sensazione di bianco. Una sorgente di questo tipo ha una distribuzione spettrale piatta (una linea orizzontale) su tutto lo spettro.
Il diffusore riflettente ideale è una superficie ideale che non assorbe nè trasmette, ma riflette diffusamente con una radianza uguale per tutti gli angoli di riflessione e indipendentemente dalla direzione della raziazione incidente. La sua distribuzione spettrale risulta piatta su tutto lo spettro e vale costantemente 100%. La radiazione emergente da tale corpo ha la composizione spettrale della sorgente illuminante, e quindi sorgente e diffusore ideale inviano all'osservatore radiazioni con uguale spettro. Il diffusore ideale può dunque essere ritenuto un corpo di colore bianco.
Particolari sorgenti di radiazioni a spettro continuo, ma non equienergetiche, come il sole o i vari illuminanti colorimetrici danno sensazioni che si discostano più o meno da quella del bianco equienergetico, ma che possono ancora venire classificate come "bianco".
Da quanto detto si capisce perchè ho più volte affermato che, affinchè un grigio sia veramente neutro sotto le varie condizioni di illuminazione, la sua distribuzione spettrale debba essere piatta.
Nel grafico sono tracciate le distribuzioni spettrali di potenza emessa relativa dei due illuminanti D65 ed A. Sono distribuzioni relative in quanto normalizzate alla lunghezza d'onda 560nm (in realtà ho dimezzato i valori, che a 560nm dovrebbero quindi valere 100%, per poter confrontare meglio le curve ).
L'illuminante A ha un potere emissivo spettrale uguale a quello del corpo nero a una temperatura di 2856°K ed è ben realizzato in pratica da una lampadina con filamento al tungsteno di uguale temperatura.
Gli illuminanti standard D (D55, D65, D75), dove D sta per daylight, approssimano le distribuzioni spettrali della luce del sole in diverse situazioni, cioè a varie temperature di colore (il numero a fianco alla D va moltiplicato per 100). In pratica ricalcano la distribuzione spettrale del corpo nero, con sovrapposte "irregolarità" dovute prevalentemente all'assorbimento che avviene nell'atmosfera terrestre.
Ricapitolando:
Il perfetto diffusore ha una distribuzione spettrale piatta su tutto lo spettro e vale costantemente 100%. Cioè se misurassimo la luce che riflette quando è illuminato dal D65, troveremmo una distribuzione identica a quella del D65. Lo stesso si può dire nel caso sia illuminato dall'illuminante A. Se il nostro grigio ha sempre una distribuzione spettrale piatta, ma la riflettanza vale 50%, appare come un grigio neutro. Nel caso fosse illuminato dal D65, la misura spettrale della luce riflessa darebbe uno spettro uguale al D65 però più attenuato, ovvero la curva celeste nel grafico starebbe più in basso. Lo stesso vale per l'illuminante A. Quindi, lo stesso oggetto, illuminato dalle due sorgenti di luce, riflette radiazioni con distribuzioni spettrali molto diverse, ma in entrambi i casi appare grigio neutro. Perchè? Per merito dell'adattamento visivo. Cioè nelle due situazioni separate, il nostro sistema visivo assumerebbe come bianco di riferimento quello relativo al diffusore perfetto (o alla sorgente), e tutte le altre radiazioni visibili sarebbero confrontate con questo bianco. Ora osserviamo la curva magenta, che è relativa all'inchiostro magenta della Epson 2100. Come detto all'inizio del paragrafo, e come si vede dal grafico, il D65 ha molte più componenti blu rispetto all'illuminante A. Quindi il picco di luminanza a 420 nm produce una riflessione verso i nostri occhi di diversa intensità nel caso del D65 o dell'illuminante A. E' vero che nelle due situazioni il sistema visivo è adattato in modo diverso, e quindi per generare la sensazione dello stesso magenta nel caso dell'illuminante A è necessaria una radiazione di minore intensità rispetto al caso del D65. Però l'adattamento visivo non è "perfetto", o meglio non è selettivo. Pensiamo al caso limite: se l'intensità della radiazione a 420nm scende sotto una certa soglia non viene neanche percepita dall'occhio, che vede solo la radiazione rossa.
Ma entriamo ancora di più nel dettaglio.
Sotto vediamo le funzioni colorimetriche nel riferimento XYZ CIE 1931, che definiscono la sensibilità spettrale dell'occhio dell'osservatore colorimetrico standard CIE. Cioè non sono riferite all'occhio di un osservatore reale, ovvero non descrivono come effettivamente vengono attivati i coni, che sono gli unici responsabili della visione, ma sono definite a tavolino come combinazione lineare delle vere funzioni di attivazione dei coni. Questo passaggio è utile in quanto la luminanza dello stimolo, che ha una grande importanza pratica, viene a coincidere con la componente Y nel riferimento XYZ. Le coordinate XYZ si ricavano direttamente dalle funzioni colorimetriche (x,y,z) tramite formule matematiche.
L'adattamento visivo è legato alle tre funzioni colorimetriche, che operano una specie di "media" delle radiazioni che arrivano agli occhi, nelle tre rispettive bande.
Se l'adattamento visivo fosse "perfetto", cioè se un oggetto ci apparisse sempre dello stesso colore, sotto a qualunque sorgente luminosa, la compensazione dovrebbe dipendere proprio dal tipo e dalla forma della radiazione che arriva ai nostri occhi, in seguito alla riflessione sull'oggetto, ovvero la compensazione dovrebbe essere selettiva in frequenza.
Invece, una volta adattati ad una situazione, il nostro cervello compensa i tre segnali elettrici provenienti dai coni in modo costante, e non dipendente dalle singole radiazioni che arrivano agli occhi.
Può capitare che un oggetto abbia una riflettanza spettrale tale per cui il colore percepito sia lo stesso nel caso venga illuminato da due sorgenti diverse, però,
in generale, i colori degli oggetti osservati in riflessione, saranno percepiti in modo diverso a seconda della sorgente che li illumina., anche in condizione di adattamento visivo.
Per quantificare questa differenza percettiva, dovuta al cambiamento di illuminazione, è utile passare, tramite trasformazioni matematiche, ad uno spazio uniforme, come il CIELuv o il CIELab. Ed è proprio questo che fa ProfileMaker quando ci mostra a monitor le tonalità di colore nelle due situazioni. E' con le coordinate Lab che possiamo dire che la tonalità del giallo Epson è abbastanza stabile perchè il DeltaE 2000 misurato vale 3.12.
Per fare un paragone con i sensori elettronici, l'adattamento visivo corrisponde al bilanciamento del bianco. Per fare il bilanciamento del bianco si considera una zona neutra della scena (che rifletterà una radiazione con spettro identico a quello della sorgente), e poi si scelgono tre coefficienti con cui moltiplicare i valori dei pixel nei tre canali del rosso, verde e blu, separatamente. Dopo questo bilanciamento, la zona neutra dell'immagine avrà valori di R,G e B uguali. A questo punto basterebbe creare un profilo ICC per caratterizzare completamente il sensore, e il profilo rimarrebbe valido per ogni situazione di illuminazione, previo bilanciamento del bianco.
C'è, però, un problema: i filtrini RGB del sensore dovrebbero avere la stessa sensibilità spettrale dei fotoricettori dell'osservatore standard reale. Per difficoltà costruttive questo non avviene con molta precisione. Può capitare a questo punto, che due stimoli possano essere metamerici per l'osservatore ma non per il sensore (o viceversa) e questo complica il problema.
La soluzione più semplice è creare più profili per le varie situazioni di illuminazione, oppure accettare l'approssimazione che nasce se utilizziamo un unico profilo per tutte le situazioni.
Misurare la risoluzione di una stampante ink-jet non è semplice, mettere a confronto diverse stampanti è ancora più difficile. In genere le case dichiarano una risoluzione espressa in DPI (Dot per Inch o Punti per Pollice), che rappresenta la densità delle goccioline che una stampante può sparare su un foglio di carta. La prima domanda che può venire in mente è: ma la carta regge quella risoluzione? ovvero le goccioline di inchiostro risulteranno ben definite, e con le dimensioni dichiarate (per esempio di 1/1440 pollici quadrati) o invece l'inchiostro spanderà determinando punti molto più grandi del previsto? Un'altra domanda ricorrente e più che lecita è: le immagini che stampo sono fatte di pixel, non di punti o gocce, quindi, a che risoluzione devo inviarle alla stampante? Ovvero con i 1440 punti che la Epson è in grado di stampare, che dimensione dovrà avere il pixel dell'immagine, visto che voglio riprodurre anche una bella scala di colori? Se mando in stampa un'immagine a 1440 PPI (Pixel per Inch), dove ciascun pixel può assumere uno dei 16 milioni di colori disponibili, come fa la stampante a riprodurre in quel pixel tutte le 16 milioni di sfumature se ha a disposizione solo sette o otto inchiostri? Ovviamente non ce la fa. In un pixel, che è quadrato, devo poter mettere molte goccioline di inchiostro. Generalmente le stampanti hanno una risoluzione che viene chiamata "nativa", che dipende sia dalle capacità meccaniche di posizionare le goccioline (numero di ugelli della testina e motore passo passo di avanzamento della carta) sia dall'interfaccia a basso livello della stampante, ovvero dai comandi "macchina" (o elementari) che la stampante è in grado di interpretare. Per la Epson la risoluzione nativa è di 360 PPI, come si può leggere anche nelle guide di programmazione per sviluppatori in www.epsondevelopers.com, che è un sito gestito direttamente dalla Epson. L'informazione sulla risoluzione nativa è ricavabile abbastanza facilmente. Se imposto una risoluzione di 2880x1440 DPI (la risoluzione minore è definita dalla densità degli ugelli, quella maggiore dallo spostamento passo passo della carta), e se invio in stampa un'immagine a 360 PPI, in un pixel dell'immagine riuscirò a mettere 8 x 4 = 32 goccioline di inchiostro (1440/360 = 4 e 2880/360 = 8). Si è sempre sentito dire che una risoluzione di stampa di 300 PPI è ottima e che non conviene utilizzare risoluzioni maggiori in quanto l'occhio non riuscirebbe ad apprezzarle. Ed è vero, se si parla di risoluzioni effettive. Però se invio ad una stampante Epson (con i drivers originali o di terze parti) immagini a 300 PPI, prima della stampa vera e propria il driver dovrà operare un'interpolazione a 360 PPI. Quindi conviene farlo prima a mano, per esempio con Photoshop con l'interpolazione bicubica, che conosciamo bene e che probabilmente è migliore di quella che usa il driver, e in modo anche da controllare a vista il degrado di quest'operazione, che eventualmente possiamo correggere con l' Unsharp Mask. La Canon invece, che ha una risoluzione di 1200x2400 DPI, ha presumibilmente una risoluzione nativa di 300 PPI, consentendo di mettere in un pixel su carta sempre 32 goccioline, che però sarranno distribuite in un pixel più grande di quello della Epson. Dalla differenza fra le risoluzioni native delle due famiglie di stampanti, nasce la difficoltà del confronto: se stampo un pattern a 360 PPI favorisco la Epson, se lo stampo a 300 la Canon. Per cui ho scelto semplicemente di verificare se le stampanti riescono a stampare bene alla loro risoluzione nativa, visto anche che il limite inferiore è 300 PPI, che abbiamo detto essere più che sufficiente per un occhio medio (ma direi anche bene allenato). Ho stampato un pattern di righe orizzontali, uno di linee oblique e uno di righe verticali. La larghezza delle righe varia da uno a due pixel (sotto ovviamente sono ingrandite per visualizzarle meglio a monitor). Anzichè fare una scansione delle stampe, non avendo uno scanner piano ad alta risoluzione, ho dovuto arrangiarmi fotografandole con un'ottica macro, al rapporto d'ingrandimento di circa 1:1. Il sensore della mia fotocamera ha pixel di 7.8 micron di lato, dunque la sua risoluzione è di 3256 PPI (al rapporto macro di 1:1), sufficiente a vedere distintamente le goccioline.
Pattern inviato alla stampante
Canon Pixma ip8500 - Carta Canon Glossy PR101 - Driver Canon Max Qualità (2 minuti, Bidirezionale)
Epson 2100 - Carta Epson Glossy Photo Weight - Driver Epson 2880 Monodirezionale - Foto a colori (14 minuti)
Epson 2100 - Carta Epson Glossy Photo Weight - Driver Epson 1440 Bidirezionale - Foto a colori (6 minuti)
Epson 4800 - Carta Epson Premium Glossy - Driver Epson 2880 Monodirezionale - Foto a colori (10 minuti)
Epson 4800 - Carta Epson Premium Glossy - Driver Epson 1440 Monodirezionale - Foto a colori (6 minuti)
Pattern inviato alla stampante
Canon Pixma ip8500 - Carta Canon Glossy PR101 - Driver Canon Max Qualità (2 minuti, Bidirezionale)
Epson 2100 - Carta Epson Glossy Photo Weight - Driver Epson 2880 Monodirezionale - Foto a colori (14 minuti)
Epson 4800 - Carta Epson Premium Glossy - Driver Epson 2880 Monodirezionale - Foto in B/N (10 minuti)
Pattern inviato alla stampante
Canon Pixma ip8500 - Carta Canon Glossy PR101 - Driver Canon Max Qualità (2 minuti, Bidirezionale)
Epson 2100 - Carta Epson Glossy Photo Weight - Driver Epson 2880 Monodirezionale - Foto a colori (14 minuti)
Epson 4800 - Carta Epson Premium Glossy - Driver Epson 1440 Monodirezionale - Foto in B/N (10 minuti)
Come si può vedere tutte le stampanti lavorano bene alla risoluzione nativa, almeno con le carte testate. Quello che si può notare per le Epson, è che la risoluzione di 2880x1440 DPI, oltre che rendere la stampa estremamente lenta, delle due peggiora le prestazioni. Quel senso di sfocatura che si nota con questa risoluzione è dovuta al fatto che la carta non tiene l'inchiostro, che spandendo fa perdere un po' di nitidezza, anche se le goccioline sono posizionate in modo più regolare. A 1440x1440 DPI, però i bordi delle gocce sono meglio definiti. La Canon ha il punto di stampa un po' più grande, però è decisamente più veloce (nota: può stampare solo in modalità bi-direzionale, non è prevista quella mono-direzionale).
Nota 1: per verificare la corretta messa a fuoco delle immagini che vi ho proposto, ho controllato sempre che i pelucchi quasi invisibili, che si posavano inevitabilmente sulle stampe, fossero perfettamente a fuoco. Con questo voglio solo dire che il senso di sfocatura o di nitidezza che si può notare nelle immagini, dipende esclusivamente dalla resa degli inchiostri sulla carta, e non da un errore di ripresa.
Nota 2: Attenzione quando si fanno stampe senza bordi. Se per esempio con una Epson per stampare un A4 "al vivo" si invia al driver un'immagine di 21 x 29.7 cm a 360 PPI, pensando di utilizzare la risoluzione nativa, in realtà il driver dovrà fare una piccola interpolazione per aumentare l'area di stampa, in quanto l'immagine verrà stampata anche un po' oltre i bordi della carta. Per sapere che dimensioni minime bisogna inviare al driver Epson, basta scaricare da www.epsondevelopers.com, dopo una registrazione gratuita, la guida relativa alla propria stampante, e controllare al capitolo "Printable Area" il numero di pixel esatti che dovrà contenere l'immagine, a seconda del formato di stampa. Per esempio, per la Epson 2100, per un A4 senza bordi sono richiesti 3047 x 4322 pixel che corrispondono ad un'area di stampa di 21.5 x 30.5 cm a 360 PPI. Se viene inviata un'immagine più grande viene tagliata, se viene inviata un'immagine più piccola viene interpolata.
Se volete trovare la risoluzione nativa della vostra stampante, e verificare direttamente quanto siano piccole le linee una volta stampate ed osservate ad occhio nudo, potete scaricare qui i patterns utilizzati in questo test.
La principale differenza fra gli inchiostri Epson e quelli Canon sta nel fatto che i primi sono a pigmenti (pigment based) mentre i secondi sono a base di colorante (dye based). I coloranti si distinguono dai pigmenti per il fatto che, se posti in opportuni solventi, non creano diffusione della luce mentre i pigmenti sono sempre diffusori. Inoltre i coloranti sono generalmente sostanze che si disciolgono nel mezzo e reagiscono chimicamente con questo costituendo un corpo omogeneo, mentre i pigmenti non si disciolgono e il corpo risulta disomogeneo. Questa differenza si ripercuote fortemente nelle stampe su carta lucida, mentre le stampe semilucide o matte, hanno un aspetto superficiale praticamente identico con entrambi i tipi di inchiostri. La Epson, già dalla prima edizione dei suoi inchiostri a pigmenti, ha cercato di risolvere questo problema utilizzando una particolare resina per incapsulare le singole particelle di pigmento. Questa resina dovrebbe legarsi a quella che riveste lo strato più esterno della carta fotografica lucida, conferendo un vero aspetto fotografico alle stampe su carta glossy. In realtà il problema non è stato risolto molto bene negli Ultrachrome della 2100, mentre sono stati fatti notevoli passi avanti nei K3.
Pigmento convenzionale
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Pigmento incapsulato Epson
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Ecco quello che succede se proviamo a specchiare la fonte di illuminazione sulle stampe (carta glossy):
Epson 2100 - Carta Epson Premium Glossy
Epson 4800 - Carta Epson Premium Glossy
Canon Pixma ip8500 - Carta Canon Glossy PR101
In questo esempio estremo è evidente il difetto. Si vede il notevole miglioramento dei K3 rispetto agli Ultrachrome, che erano inutilizzabili su carta glossy, ma anche una notevole inferiorità rispetto ai dye-based della Canon. Sembrava che la Epson avesse risolto definitivamente questo problema con il Gloss Optimizer, utilizzato nelle stampanti R800/1800, ma non ha voluto giocare questa carta anche nei K3. Forse per differenziare di più i sui prodotti, forse per non riprogettare le stampanti a medio e grande formato che utilizzavano già otto cartucce, forse per razionare le novità dei prodotti, fatto sta che in questi K3 si sente molto la mancanza del Gloss Optimizer. In realtà questo liquido incolore dedicato alle R800/1800, nasce più per risolvere il problema del bronzing (di cui parliamo subito dopo) che non della riflessione diffusa, ma sicuramente il suo valore aggiunto è quello di conferire un aspetto decisamente lucido alle stampe, che, da questo punto di vista, differiscono di poco da quelle della Canon, superiori solo per il fatto che la carta ha una superficie iperlucida.
Siccome i pigmenti si depositano a formare una patina più opaca della carta, e non si legano alla resina come i dye-based creando un corpo unico, nelle zone non coperte dall'inchiostro nasce un fastidioso effetto chiamato gloss-differential o bronzing. Il Gloss-Optimizer serve proprio a "chiudere i buchi" lasciati aperti dai pigmenti, e ad omogeneizzare il fattore di lucidezza, che altrimenti risulterebbe diverso anche a seconda del colore dell'inchiostro.
L'utilizzo del Gloss-Optimizer ha solo una controindicazione: nonostante sia incolore, sporca un po' i bianchi, come si può vedere dalla seguente misura fatta su carta Epson-Premium Glossy:
Ecco cosa succede se osserviamo le stampe con illuminazione molto angolata:
UltraChrome - Epson 2100 - Premium Glossy
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UltraChrome - Epson 4800 - Premium Glossy
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ChromaPlus - Canon Pixma ip8500 - PR101
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In quest'altro caso abbastanza estremo, la mancanza del Gloss Optimizer provoca quella fastidiosa solarizzazione che si nota sui numeri, del tutto assente nella stampa con i dye-based.
Si può notare come la carta Epson (osservando le zone bianche) sia meno lucida di quella Canon, e comunque molto più simile alla carta della stampa chimica. Inoltre si vede come nella stampa Canon la stessa lucidezza prosegua anche dove è stato depositato l'inchiostro, a differenza delle due Epson (basta notare come la lampada sia specchiata meglio).
Nel caso degli UltraChrome, il fenomeno di diffusione della luce provoca un altro difetto molto sgradevole anche su carta semiglossy. In particolare le zone nere dell'immagine, appaiono di nero intenso solo se illuminate da una certa angolazione, con un range molto stretto di variazione, diversamente la diffusione eccessiva le fa apparire grigie anzichè di nero intenso. Lo si può intravedere nella prima tacca in alto a sinistra. Questo difetto è stato molto corretto nei K3.
Vediamo un altro caso di bronzing meno estremo:
UltraChrome - Epson 2100 - Premium Glossy
K3 - Epson 4800 - Premium Glossy
Qui è più che evidente il miglioramento introdotto dai K3 rispetto agli UltraChrome. Con la Epson 2100 si nota un po' di bronzing anche sulla carta Epson Premium semilucida; perchè non si presenti occorre utilizzare la carta Epson Glossy Photo Weigth, che a dispetto del nome non è affatto lucida, anzi la sua superficie è molto più irregolare della Premium semilucida. Quest'ultima invece è perfettamente utilizzabile con i K3.
Vediamo ora come si comportano queste stampanti nella stampa del bianco e nero. L'attenzione è rivolta soprattutto alle due Epson, che consentono di ottenere vere stampe monocromatiche.
In camera oscura un parametro molto importante che si utilizza per determinare la qualità di una carta da stampa è la densità. La densità è un valore, in scala logaritmica, che esprime quanto sia distante il massimo nero stampabile dal bianco della carta. I dati sono stati misurati con uno spettrofotometro, e successivamente convertiti dal software in Densità e in valori Lab. Di seguito sono riportati in ordine crescente di densità.
L* a* b* : Angolo in visione 2° - Illuminante standard D50 - Densità : Filtro Standard ANSI T
L bianco
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a bianco
|
b bianco
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L nero
|
a nero
|
b nero
|
Delta Dk
|
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Kodak Minilab - Kodak Ultra Endura Paper Glossy |
91.9
|
0.5
|
-3.3
|
12.1
|
-1.4
|
-5.9
|
1.77
|
Ilford Multigrade IV |
94.5
|
0.9
|
-5.2
|
8.4
|
2.1
|
-0.7
|
1.96
|
Epson 2100 BN - Premium Glossy |
95.4
|
-0.3
|
-3.9
|
6.5
|
0.6
|
-1
|
2.09
|
Epson 2100 Colori - Glossy Photo Weigth |
97.5
|
0.7
|
-2.2
|
6.2
|
0.8
|
-0.9
|
2.13
|
Canon Pixma ip8500 - Canon PR101 |
96.4
|
0.1
|
-3.9
|
6.2
|
-0.7
|
-9.2
|
2.15
|
Epson 4800 Colori - Premium Glossy |
95.5
|
-0.3
|
-4
|
5.1
|
-0.1
|
-2.6
|
2.21
|
Epson 4800 BN - Premium Glossy |
95.3
|
-0.3
|
-3.7
|
3.0
|
0.1
|
0.3
|
2.41
|
Per la carta politenata della Ilford ho misurato un valore di densità di 1.96, che è un ottimo valore, anche se la versione a tono freddo (cool tone) arrivava anche a densità di 2.15-2.20. Il valore di 2.41 della Epson 4800, però è eccezionale e la pone senza ombra di dubbio al primo posto in graduatoria.
Vediamo ora quanto queste stampe siano effettivamente neutre. Per la Epson 4800 ho usato la solita carta Epson Premium Glossy con i drivers originali. Per la 2100 invece ho usato il QuadToneRip, che distribuisce le curve "canned" (l'equivalente dei profili nella stampa a colori) solo per la carta Matte, e così ho stampato proprio sulla Epson Archival Matte Paper .
Angolo in visione 2° - Illuminante standard D50
La prima cosa che si può notare è come tutte le carte abbiano un bianco un po' freddo, tendente al blu (b ≈ -4). L'andamento delle curve è molto dolce, ed è questa la cosa importante. Cioè, partendo da un nero che può essere un po' caldo ( Ilford-Epson 2100) o neutro (Epson 4800 B/N) o un po' freddo (Epson 4800 Colori), quello che conta è arrivare al bianco della carta nel modo più graduale possibile, senza grossi sbalzi intermedi. In questo modo l'occhio non si accorge minimamente di variazioni di tonalità, anche perchè la variazione massima è veramente piccola. Ho inserito la misura della Epson 4800 in stampa a colori, anche se il confronto non sarebbe da fare, in quanto, come ho detto all'inizio, in questo caso è il profilo ICC che gestisce i colori e quindi anche i grigi. Però ho voluto mostrare anche questa misura per mettere in evidenza come, anche con un profilo abbastanza veloce (288 patches in un foglio A4), sia possibile stampare delle ottime immagini monocromatiche, o parzialmente monocromatiche (pensate alle classiche stampe in B/N con alcuni particolari colorati a mano: con questa stampante e Photoshop i risultati saranno eccellenti). Da notare anche che la stampa a colori è quella con la minima variazione di tonalità: cioè il nero è già leggermente freddo, per arrivare ad un bianco un po' più freddo. Comunque il risultato migliore è quello della 4800 in stampa B/N. E' migliore anche della stampa chimica, almeno sotto la luce del D50.
Vediamo ora gli ingrandimenti delle intersezioni delle patches grigie, evidenziate dai quadrati rossi. I numeri sono i valori RGB delle patches. Le immagini sono ancora a circa 3200 DPI, per cui se il vostro monitor è impostato per esempio a 86 DPI, le vedrete ingrandite di (3200/86 = ) circa 37 volte rispetto alla stampa.
Epson 2100 - Carta Epson Premium Glossy - Quad Tone Rip - 1440 DPI
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Epson 4800 - Carta Epson Premium Glossy - Driver Epson - 1440 DPI
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Già con i due neri della Epson 2100 si riuscivano a fare delle buone stampe in B/N. Il terzo grigio della 4800, però, dà un contributo fondamentale. Osservando le patches più chiare, si può notare come il punto di stampa nella 4800 sia molto poco visibile. Osservando direttamente la stampa della 2100 da vicino ed a occhio nudo, si riescono ad intravedere le goccioline, perchè, essendo scure e nette, si stagliano bene nel bianco della carta. Nel caso della 4800 sono assolutamente invisibili ad occhio nudo. Il miglioramento si nota anche nelle patches scure: nella 2100 si vede un certo effetto banding, dovuto al fatto che viene utilizzato un solo nero per volta, o quello scuro o quello chiaro, e questo determina il banding. La 4800 può contare su di un grigio chiaro in più, per cui può permettersi di utilizzare quasi sempre almeno due grigi contemporaneamente, in modo da "riempire i buchi" e dare origine a tinte più omogenee. Questo forse è l'unico caso in cui è consigliabile, per la 2100, utilizzare la risoluzione di 2880x1440 DPI, con cui si annulla il banding. Notate che la 4800 usa anche un po' di giallo per neutralizzare la stampa, mentre il QuadToneRip solo i Ciano e Magenta chiari. Però questo ottimo RIP è completamente customizzabile, per cui è possibile creare curve di lavoro virtualmente per ogni accoppiata carta/inchiostri.
Il problema più evidente, che affliggeva le prime stampe ink-jet apparse sul mercato, era sicuramente la stabilità nel tempo. I colori vibranti delle stampe appena sfornate, sbiadivano o viravano in tempi molto brevi, soprattutto quando le stampe venivano esposte "al vivo". Si può dire che il problema sia stato completamente risolto, o quasi, negli attuali sistemi di stampa ink-jet.
Un istituto di ricerca che da molti anni si occupa di questo problema è il Wilhelm Imaging Research, che ormai è diventato il punto di riferimento anche per i grandi produttori di sistemi ink-ket e non solo. Il grosso vantaggio di avere un solo centro di prove è sicuramente il fatto che i test risultano standardizzati, in quanto vengono effettuati sempre nelle stesse condizioni e con le stesse procedure, oltre ovviamente all'imparzialità di chi pubblica i risultati. La Epson, la Canon, la HP e anche gli altri produttori di carte e inchiostri, in genere pubblicizzano i loro prodotti dichiarando la durata allo sbiadimento, calcolata secondo procedure di prova proprietarie, e quindi poco confrontabili fra loro. Inoltre, i possibil acquirenti sono più propensi a credere ai dati pubblicati da un istituto indipendente, piuttosto che a quelli dichiarati dalla casa stessa. Così, sempre più spesso, soprattutto quando i dati sono incoraggianti, anche i grandi produttori hanno cominciato ad inserire nei propri depliants pubblicitari i risultati di questo centro di ricerca. In questo paragrafo ho voluto raccogliere i dati più significativi, selezionati tra i vari articoli del sito. Voglio solo indicare, a chi fosse interessato all'approfondimento di questo argomento, un vero e proprio libro in pdf The Permanence and Care of Color Photographs (79.6 MB) di 758 pagine pubblicato per la prima volta nel 1993. E' scaricabile anche a capitoli, che affrontano tantissime problematiche relative al deperimento dei colori nelle stampe tradizionali e digitali, nei negativi a colori, nelle diapositive e nelle pellicole cinematografiche.
Abbiamo visto prima i problemi relativi all'aspetto di una stampa ottenuta con inchiostri a pigmenti, ma non abbiamo detto quanto questi siano stabili e resistenti alla luce e agli agenti atmosferici nel tempo. La Epson ha dunque scelto come priorità la durata delle proprie stampe, concentrando tutti i propri sforzi nel risolvere i problemi legati alla qualità, problemi che abbiamo messo in evidenza prima. La Canon ha invece scelto la strada opposta: ha puntato tutto sui dye-based, che danno sicuramente risultati qualitativi migliori, su tutti i tipi di carta, ma sono molto più vulnerabili alle radiazioni luminose e ai gas presenti nell'atmosfera. La ricerca Canon è dunque volta ad allungare la vita delle stampe ottenute con inchiostri dye-based. Soprattutto per questi ultimi, è importante considerare anche la carta utilizzata, in quanto lo strato più esterno è costituito dalla resina che si lega chimicamente agli inchiostri, e quindi è importante che sia studiata congiuntamente a questi. Il tipo di cata più utilizzata per i dye-based è quella con superficie micro porosa. Esempi di questo tipo di carta sono la Epson Premium Glossy o la Canon PR-101 viste prima. Sono quelle che forniscono il migliore effetto gloss, sono molto simili alle stampe chimiche, ma sono anche quelle che hanno vita più corta. Esiste anche un tipo di carta chiamata swellable (letteralmente "gonfiabile") studiata apposta per allungare la vita delle stampe dye-based. Esempi di questo tipo di carta sono la Epson Color Life, la Kodak Ultima e la HP Premium. E' un tipo di carta caratterizzato da un tempo di asciugatura abbastanza elevato, nel quale l'ultimo strato della carta reagisce con gli inchiostri e si gonfia, per poi asciugarsi solidificando e realizzando uno strato protettivo che di fatto allunga moltissimo la vita della stampa. L'HP ha scelto proprio questa strada, in quanto i suoi inchiostri sono dye-based, e non ha previsto carte con superficie micro porosa. Il rovescio della medaglia è che anche in questo caso non si riescono ad ottenere stampe veramente lucide. Non c'è il problema del bronzing, però il fattore gloss è piuttosto basso, più basso di quello ottenibile con gli Epson K3 che non usano il Gloss-Optimizer. Questa carta non è da utilizzare con inchiostri a pigmenti (del resto non ce ne sarebbe motivo, in quanto sono già molto resistenti loro stessi), perchè il tempo di asciugatura aumenterebbe troppo, e il sistema di trascinamento della carta provocherebbe delle striature rovinando la stampa. Sotto vediamo uno schema dei due tipi di carta:
Carta Micro Porosa (Inchiostri dye-based)
Carta "Swellable" (Inchiostri dye-based)
Di seguito le tabelle dei test che ho raccolto dal sito Wilhelm Imaging Research: la prima è l'elenco dei sistemi di stampa e la seconda contiene i risultati dei test.
Stampante
|
Inchiostri (originali)
|
Carta (originale)
|
Tipo di Carta
|
Canon S800
|
BCI-6 - 6 inks dye-based
|
Canon PR101 (Glossy)
|
Microporous Coating
|
Epson 4800
|
UltraChrome K3 - 8 inks pigments
|
Epson Premium Glossy
|
Microporous Coating
|
Epson 2100
|
Ultrachrome - 7 inks pigments
|
Epson Premium Glossy
|
Microporous Coating
|
Epson R1800
|
UltraChrome High-Gloss - 8 inks pigments
|
Epson Premium Glossy
|
Microporous Coating
|
Epson 2000P
|
Archival 6 Ink pigments
|
Epson Premium Glossy
|
Microporous Coating
|
Epson 870/890 1270/1290
|
6 inks dye-based
|
Epson Premium Glossy
|
Microporous Coating
|
Epson 870/890 1270/1290
|
6 inks dye-based
|
Epson Color Life
|
Swellable polymer coating
|
HP PhotoSmart 8450
|
HP Vivera 8 inks dye-based
|
HP Premium Plus Photo Paper
High/Soft Gloss |
Swellable polymer coating
|
Minilab Fuji Frontier 370
|
Stampe cromogeniche tradizionali
(chimiche) |
Fujicolor Crystal Archive Paper
|
Multilayer gelatin-coated
RC Photo Paper |
Minilab Kodak
(Noritsu QSS-3011SM) |
Stampe cromogeniche tradizionali
(chimiche) |
Kodak Edge Generations and
Royal Generations |
Multilayer gelatin-coated
RC Photo Paper |
Canon Pixma*
|
ChromaLife100*
|
Canon PR101 (Glossy)*
|
Microporous Coating*
|
Stampante
|
Esposizione sotto vetro
|
Esposizione sotto vetro
con filtro UV |
Esposizione "al vivo"
|
Conservazione al buio
(o dentro Album) |
Canon S800
|
27 anni
|
Non testato
|
Non testato
|
Non testato
|
Epson 4800 - Foto Colori
|
85 anni
|
98 anni
|
60 anni
|
>300 anni
|
Epson 4800 - Foto B/N
|
>135 anni
|
>135 anni
|
>76 anni
|
>300 anni
|
Epson 2100 - Foto Colori
|
85 anni
|
98 anni
|
60 anni
|
>300 anni
|
Epson R1800 - Foto Colori
|
104 anni
|
>175 anni
|
34 anni
|
>300 anni
|
Epson 2000P - Foto Colori
|
>100 anni
|
Non testato
|
Non testato
|
Non testato
|
Epson 870/890 1270/1290 - PGlossy
|
9 anni
|
Non testato
|
Non testato
|
Non testato
|
Epson 870/890 1270/1290 - Colorlife
|
26 anni
|
Non testato
|
Non testato
|
Non testato
|
HP PhotoSmart 8450 - Foto a Colori
|
108 anni
|
>130 anni
|
29 anni
|
>200 anni
|
HP PhotoSmart 8450 - Foto in B/N
|
115 anni
|
>140 anni
|
in test
|
>200 anni
|
Minilab Fuji Frontier 370
|
40 anni
|
Non testato
|
Non testato
|
Non testato
|
Minilab Kodak (Noritsu QSS-3011SM)
|
19 anni
|
Non testato
|
Non testato
|
Non testato
|
Canon Pixma*
|
30* anni
|
Non testato
|
10* anni
|
100* anni
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*Nota: Dati dichiarati dalla Canon e non testati da Wilhelm Imaging Research
La serie dye-based della Epson (870/1270) è stata la prima ad assicurare una durata accettabile. La Epson li garantiva per 10 anni sulla Premium Glossy, i test di Wilhelm Imaging Research hanno stimato 9 anni, quindi valori decisamente comparabili. Si vede come sulla Colorlife (swellable) la durata si moltiplichi quasi di tre volte. Le stampe chimiche, che erano il riferimento in quanto a durata, vanno dai 19 ai 40 anni, sempre in esposizione sotto vetro. L'introduzione dei pigmenti ha determinato un nuovo standard in fatto di stabilità, infatti i risultati dei test indicano durate intorno ai 100 anni. Da notare come nelle stampe in B/N la vita si allunghi notevolmente: infatti gli inchiostri neri sono più stabili di quelli colorati. Gli inchiostri Canon BCI-6 sono i dye-based utilizzati su tutte le stampanti Canon esacromatiche, e anche sulla Pixma 8500 utilizzata per quest'articolo, in cui però sono presenti in più i due inchiostri rosso e verde. La durata è notevole, in linea con le stampe chimiche. Proprio quest'anno la Canon ha annunciato la nuova linea di inchiostri sempre dye-based, dedicati alle ultime Pixma nate, con durata dichiarata superiore. I dati non provengono da Wilhelm Imaging Research perchè i nuovi inchiostri non sono ancora stati testati. L'elemento importante è quello relativo all'esposizione "al vivo", che è la situatione più critica per i dye-based. Infatti è la presenza di alcuni gas presenti nell'aria, più che il bombardamento dei raggi luminosi, che provoca il maggior slittamento cromatico delle stampe. In particolare è l'ozono il maggior responsabile. Wilhelm Imaging Research dichiara di non testare volontariamente i dye-based su carta micro porosa in esposizione al vivo, in quanto è una combinazione notoriamente vulnerabile all'ozono. Attendiamo dunque conferma dei dati dichiarati dalla Canon, che se fossero confermati, riallineerebbero le stampe dye-based con quelle chimiche, dal punto di vista della durata, visti anche i 100 anni garantiti nella conservazione dentro album. Da notare anche gli ottimi valori delle stampe HP, ottenute con inchiostri dye-based su carta swellable.
Come vengono eseguiti i test?
Innanzi tutto vengono eseguiti test multipli, in quanto i fattori che determinano il deperimento di una stampa sono molteplici. In ogni caso il modello su cui si basa la constatazione del cambiamento che avviene dopo il test accelerato d'invecchiamento, è il CIELab. Ovvero i colori stampati vengono misurati con uno spettrofotometro prima e dopo il test, vengono calcolati i Delta E, e viene stimato il tempo corrispondente ad un'esposizione normale.
Per esempio il test accelerato per la stabilità alla luce, viene effettuato bombardando la stampa a 35.000 lux con una lampada fluorescente bianca, mantenendo la superficie della stampa a 24°C e al 60% di umidità relativa. Supponendo che le normali condizioni di esposizione siano 450 lux per 12 ore al giorno, un'ora di test accelerato corrisponde a 35.000/450=77.7 ore di esposizione normale, che corrispondono a 77.7/12=6.5 giorni. Questo semplice modello, basato sulla legge di reciprocità, in realtà non funziona molto bene, infatti è stato sostituito da modelli matematici più complessi ed accurati, con i quali vengono interpolati e calcolati valori più attendibili.
Un altro test importante è, come già detto, quello sull'ozono. Non è semplice stabilire il valore medio giornaliero dell'esposizione all'ozono, in quanto la quantità presente nell'aria può variare molto: sono "a rischio" locali con purificatori d'aria elettrostatici, frigoriferi, locali climatizati, locali pubblici in cui siano installati sistemi antifumo o antipolvere ecc.
Viene testata anche la resistenza all'umidità e all'acqua, e l'ingiallimento della carta, anche in presenza di sbiancanti ottici, che ne accelerano la comparsa.
Sotto un esempio di test accelerato per la stabilità alla luce, in cui si confronta un sistema a lunga durata basato su pigmenti della Polaroid (Polaroid Permanent-Color materials) con un sistema cromogenico convenzionale (Kodak Ektacolor). E' impressionante la stabilità dopo 575 anni simulati (al centro) per il sistema Polaroid.
Estratto dal libro The Permanence and Care of Color Photographs (79.6 MB) dal sito Wilhelm Imaging Research
Conclusione
La rapida diffusione di sistemi ink-jet ha permesso in pochi anni di superare in prestazioni i sistemi a sviluppo chimico, perfezionati in un arco temporale molto più ampio. Stampanti anche molto economiche permettono una qualità e una stabilità nel tempo decisamente superiori alla tecnologia chimica. Occorre inoltre tenere conto del grande vantaggio della gestione del colore tramite profili ICC (argomento tra l'altro non trattato in questo articolo), molto più attuabile con la tecnologia ink-jet, grazie alla stabilità di resa molto maggiore rispetto alla tecnologia cromogenica.
Abbiamo messo a confronto due tipologie di inchiostro molto diverse tra loro, ma abbiamo anche visto il punto di incrocio che la ricerca sta raggiungendo a grandi passi, sebbene così distanti i punti di partenza.
La stampante ideale ancora non c'è. Con la stampante ideale potremo stampare perfettamente su carta matte e su carta glossy, le nostre stampe rimarranno inalterate per 500 anni, e potremo stampare sia a colori che in perfetto bianco e nero.
Adesso possiamo solo stabilire le priorità e decidere di conseguenza, ma non credo che passerà ancora molto tempo per poter comprare la stampante tuttofare.
Ringraziamenti
Voglio ringraziare alcuni amici, senza l'aiuto dei quali non avrei potuto scrivere questo articolo: